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Dedicato a Beatrice Cenci

Voglio dedicare la giornata contro la violenza sulle   donne a Beatrice Cenci che considero  uno dei simboli  della violenza consumata nel recinto sacro della famiglia. Quella che molti ,in perfetta ipocrisia, difendono a gran voce, quella dove il tradimento alligna più lacerante, perché il nemico è lì ,tra le mura della casa, giardino di delizie e sicurezze, radica di lignaggio e buoni sentimenti.Dedico il giorno di ieri  a tutte le donne abusate, vilipese, umiliate e dimenticate ,anche di quelle di cui non conosco il nome e nemmeno la storia ma che ,da qualche parte in questo pianeta patiscono il dramma dello spezzarsi, sincrono all’impossibilità di un’altra scelta : il vessatore è tra le mura, nel recinto del  sacro. La vessazione, non è subito immediatamente riconoscibile,possono passare anni prima che un seme di coscienza si faccia strada nella mente di una donna  è per questa ragione che  non produce , subito,moti di ribellione ma di annientamento:si è anestetizzate e  vengono a mancare la sicurezza, il brio, lo spirito e l’energia per svincolarsi,consentendo la peggiore delle violenze,la prigionia inconsapevole. Beatrice Cenci è  il contrario di tale rassegnazione vi è in lei il senso di rivolta alla sopraffazione e quando si rende conto che   non può trovare via razionale per sfuggire all’aguzzino concepisce un  atto estremo di negazione della vita altrui e pertanto della propria . La violenza domestica, anche quella fatta di atti non cruenti ma che mina l’autostima delle donne è fatta di gesti apparentemente insignificanti ma a cui una donna deve prestare molta attenzione. La violenza ha spesso le forme di autentico annientamento .si comincia isolando la donna dalle amiche, poi proibendo l’uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in un’escalation che non ha fine. Le volontà si indeboliscono, le energie si disperdono nelle implosioni interiori,nel silenzio della rabbia che non si esprime e che si trasforma in depressione e dunque in incapacità di reagire.Ho dedicato la giornata di ieri  a Beatrice Cenci, ad Antigone, Artemisia Gentileschi,a Hina, a Lucia, a Milena, Aisha, Yasmina, Ruth, Ghila, Rosa, Anna, e mille altre e a tutte coloro che con uno scatto di orgoglio e dignità si sono riprese la vita quando è stato possibile. Un pensiero e forza speciale ci provenga dalle donne che in nome di questa dignità sono morte perché nel reagire hanno pensato che è meglio morire lottando che agonizzando per dilettare il nemico. Meglio morire lottando che farsi avvelenare come inconsapevoli vittime.

Beatrice Cenci, Guido Reni

Beatrice Cenci (Roma, 12 febbraio 1577 – Roma, 11 settembre 1599) fu una giovane nobildonna romana giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare

La Storia di Beatrice Cenci
Beatrice Cenci nasce a Roma il  il 12 febbraio 1577 da Francesco e Ersilia Santacroce. Francesco era uno degli “uomini più ricchi d’Urbe avendo ereditato dal padre un enorme patrimonio, accumulato ricorrendo a mezzi illeciti, dall’usura alle malversazioni, soprattutto nel periodo in cui aveva ricoperto la carica di Tesoriere Generale della Camera Apostolica”. Beatrice Cenci trascorre l’infanzia in famiglia, dove dominava il carattere violento e volgare del padre, uomo tirannico, avaro e manesco, suscitando contro di sé l’odio dei figli, fino al parricidio. Nel giugno del 1584, poco dopo la morte della madre, il padre la mise come educanda nel Monastero della Santa Croce a Montecitorio, insieme alla sorella maggiore Antonina. Vi restano 0tto anni: quando tornò a casa, infatti, trova la famiglia in crisi. I tre figli più grandi Giacomo, Cristoforo e Rocco, erano in rapporti difficili con il padre, soprattutto per motivi d’interesse: egli “negava loro il denaro necessario per mantenersi, ed essi facevano debiti e lo derubavano”;. Il contrasto, tra padre e figli si acuì nel 1594, quando il padre ebbe la sua più brutta avventura giudiziaria, un processo con la grave e infamante accusa di sodomia. Stette in carcere solo tre mesi, ma per ottenere l’estinzione del procedimento dovette pagare l’enorme somma di 100.000 scudi. Dal canto suo il padre accusò i tre figli di volerlo uccidere: dall’inchiesta emersero soprattutto le responsabilità di Giacomo, ma questi riuscì a trovare testimoni a suo favore, e fu prosciolto. Il padre lo accusò ancora di aver subornato i testimoni contro di lui durante il processo per sodomia, ma anche questa querela finì nel nulla. Questi ripetuti smacchi, il vedersi sfuggire il controllo della sua famiglia il costante dimore di essere ucciso diedero un duro colpo al morale di Francesco Cenci, che cominciò a pensare di lasciare definitivamente Roma. Intanto, dopo la scarcerazione, allontanò da sé i due figli più piccoli, Bernardo e Paolo, gli unici maschi rimasti in casa, mettendoli a “dozzina” presso un prete. Un’altra sua preoccupazione era che Beatrice, come Antonina, si sposasse, perché la dote avrebbe ulteriormente salassato il suo già dissestato patrimonio. Per impedire queste nell’aprile del 1595 rinchiuse Beatrice e la seconda moglie Lucrezia Petroni, nella rocca di Petrella Salto. un piccolo paese tra Rieti e Avezzano, a due giorni di viaggio da Roma, nel territorio del Regno di Napoli.
Dopo aver subito negli ultimi tre anni le vicende familiari, Beatrice si trovò così sacrificata all’egoismo del padre, isolata in un ambiente estraneo, in compagnia della matrigna, una donna debole e scialba, e di qualche servitore. La loro vita, già assai monotona e triste, divenne più dura l’anno seguente, quando il padre, temendo che potessero fuggire, tornò alla rocca e le segregò in un appartamento del quale fece sprangare porte e finestre, trasformandolo in una vera e propria prigione: il cibo era passato alle due donne tramite uno sportellino. Dopo qualche tempo esse riuscirono a eludere la sorveglianza del guardiano, ma la loro sorte non migliorò che di poco. Esasperate, presero a spedire lettere ai parenti a Roma supplicando il loro aiuto: una lettera di Beatrice a Giacomo, nella quale lo scongiurava di trovarle marito o almeno di metterla in un monastero, cadde nelle mani del padre, nel dicembre del 1597. Tornato subito alla rocca, egli picchiò selvaggiamente la figlia, e decise di stabilirvisi, per tenere meglio sotto controllo le due donne. Richiamò a sé anche Bernardo e Paolo, ma dopo qualche tempo essi riuscirono a fuggire a Roma.Beatrice non aveva certo un carattere passivo, e non poteva sopportare senza reagire quella situazione. Era spaventata e disgustata dalla brutalità e dal disprezzo con cui il padre la trattava, obbligandola anche ad accudire alle sue pulizie personali, ossessionata dalla sua continua presenza nello spazio chiuso dalle mura della rocca. E a quel punto si rendeva conto di essere in sua completa balìa, e di non poter più sperare in alcun aiuto dall’esterno. La decisione di ucciderlo fu così non solo l’espressione del suo odio ma anche l’unica via per riacquistare la libertà.

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